Benvenuti nella mia umile dimora.
Io sono Celendor Neshta'ri, cantastorie e Bardo di Farthenir.Venite, entrate pure, ascoltate: grandi gesta ed eroi aspettano di essere raccontati, e tradimenti ed amori...

sabato 3 gennaio 2009

Nive (VII)

Lentamente, ancora più lentamente della volta precedente, riprese i sensi. La coscienza di se prese a scorrerle nella mente come un fiume in piena, mentre i polsi, le caviglie ed il collo le bruciavano per il lungo contatto con il gelido metallo delle catene.
Non sentiva più dolore. A parte il bruciore del metallo che le stringeva la carne, non avvertiva altro. L'accecante dolore, diffuso in ogni fibra del suo corpo, che l'aveva angustiata durante il suo primo, breve, periodo di veglia era sparito, scacciato dall'insano torpore dovuto al freddo intenso ed all'immobilità cui era costretta.
Lacrime calde rigarono il volto livido dell'elfa. Riusciva a sentire le forze che abbandonavano le sue membra, mentre la pioggia gelida ed il vento le sottraevano ogni traccia di calore.
Stanca di dibattersi inutilmente senza riuscire ad infrangere i vincoli che la costringevano su quella pietra dura, temette di perdere nuovamente i sensi. Facendo ricorso a tutta la forza di volontà che le era rimasta, si costrinse a restare sveglia. Aprì gli occhi e, ricordando il suo ultimo pensiero cosciente, prese ad osservare la grotta da quel suo strano punto di vista.
Sopra di lei si apriva un vasto squarcio nella volta, che permetteva alla pioggia di entrare. Se il cielo fosse stato sereno, lei avrebbe potuto persino vedere le stelle, ma anche quel sollievo le era negato. Da qualche parte alla sua sinistra, una lunga galleria doveva condurre in superficie: era da lì che arrivava l'aria gelida che le sferzava il corpo già livido. Il resto erano solo nere pareti e guglie, per quanto lei non potesse vedere che una mima parte di quando la circondava.
Paura.
Di nuovo giunse quella sensazione ad impadronirsi di lei. Un timore immenso e pesante che minacciava di schiacciare la sua coscienza, conducendola alla follia. Poi qualcosa di nuovo si vece strada per le vie affollate della sua mente, trovando infine il modo di arrivare in superficie e divenire pensieri coerenti. Erano delle domande.
Di colpo si sorprese a chiedersi dove era finita e chi l'avesse portata fin lì e legata. Cosa voleva da lei?
Qualunque fossero le domande a quelle risposte, sembrava non vi fosse modo di liberarsi e fuggire lontano da quel posto orribile.
Una paura profonda l'avvolse, vincendo ogni sua resistenza e sprofondandola in un incubo le cui immagini sono troppo truci perché io ve le racconti. Prima che potesse riprendere il controllo, la sua coscienza si annebbiò e lei cominciò a delirare.

martedì 9 dicembre 2008

Nive (VI)

A lungo aveva dormito, ed il nuovo mondo era cresciuto ed invecchiato lontano dalla sua ombra. Non sapeva come, ma il sonno eterno a cui era stato condannato si interruppe senza preavviso ed egli si era risvegliato nel Mondo, tornando in esso come una gelida Ombra di puro male.
Immobile nell'angolo più nascosto di quella sua nuova tana, osservava, avido, la sua vittima dibattersi nel disperato tentativo di liberarsi, come una mosca nella tela del ragno, la
sua tela. Ogni movimento, ogni respiro le sottraeva un po' della sua forza vitale, un sorso ristoratore per quell'Ombra assetata.
Molto era cambiato dal tempo del suo dominio sul Mondo, quando Egli camminava libero per le terre desolate ed ogni creatura lo temeva fuggendo il suo sguardo. Era stato potente e temuto, ora viveva nascosto negli anfratti più oscuri di questo nuovo mondo che non aveva mai conosciuto il suo nome, nutrendosi dell'energia vitale delle vittime che riusciva a catturare nelle notti più buie, le sole in cui osasse avventurarsi allo scoperto. Un parassita, ecco cos'era diventato, cosa lo
avevano fatto diventare. Null'altro che un misero parassita, un essere infimo che arrancava, livido di odio e di rancore, negli anfratti più oscuri della terra, catturando qualunque creatura potesse placare la sua sete di nuova vita.
Mille e più volte avrebbe preferito non svegliarsi dal suo eterno sonno, la sua vita era ora una condanna assai peggiore.

Questa volta la sua caccia aveva avuto un esito tanto inatteso quanto gradito: a cadere nella sua tela di tenebra ed illusioni era stata una nobile Sindarim, un'Elfa del più alto lignaggio. A lungo l'avrebbe saziato con la sua forza immortale, ed a lungo lui avrebbe goduto nel vederla soffrire stretta nella morsa gelida di quelle catene.

martedì 25 novembre 2008

Nive (V)

  Solo. Essere senza tempo, stipato nell'ombra cupa, quasi irreale, di una rientranza rocciosa, il silenzioso carceriere osservava la sua nuova vittima.

  A lungo aveva vissuto nel mondo, prima che venisse la Notte, ma il mondo lo aveva scordato. Come un'ombra fugace, la sua esistenza era scivolata via dalla Storia, lontano dal ricordo persino dei più antichi tra gli esseri che ora camminavano sotto le Stelle.

  Il suo nome, temuto un tempo e mai pronunciato, si era perso nelle pieghe immobili del tempo: neanche lui ne rammentava più il suono.

  Era stato grande, Signore d'ogni terra e d'ogni vita padrone, un tempo, prima che la Notte scendesse sul Mondo. Eppure cadde. Il suo Regno, vasto e terribile, venne distrutto da una forza più grande della sua e lui stesso si ritrovò sull'orlo dell'abisso, troppo vicino al nulla della morte per non rimanerne segnato. Ma non morì.

  L'enorme potere che aveva spezzato il suo lungo dominio sul Mondo, non potè infine separarlo da esso: troppo a lungo egli aveva vissuto legato alle forze più oscure e profonde dell'Universo perché quei legami potessero ora essere recisi.

  Fu così che, non potendo cancellare la sua esistenza, quella Potenza vittoriosa ne cancellò dal Mondo ogni ricordo, ed ogni traccia del suo triste operato. Poi venne la Notte, ed egli fu imprigionato  in un lunghissimo sonno vuoto ed eterno. La sua forza venne estirpata dal suo corpo con immane sapienza, ed egli giacque come morto, nel più profondo dei sonni, nel più profondo dei luoghi di quella terra nuovamente creata.

martedì 13 maggio 2008

Nive (IV)

Socchiuse lentamente gli occhi, costringendosi a resistere alla tentazione di richiuderli immediatamente quando le prime gocce di pioggia cominciarono a scivolarle sotto le palpebre.
L'ambiente attorno le appariva vago e sfocato, come avvolto da una una fitta nebbia. Dal suo ristretto punto di vista riusciva a vedere assai poco dello spazio circostante, persino il cielo le era celato dal flusso incessante della pioggia.
Trascesero lunghi istanti durante i quali non fece altro che studiare quel poco che riusciva a scorgere del mondo. A colpire la sua attenzione, piu' che il grigiore diffuso del cielo, erano quelle lunghe appendici vegetali che parevano scendere dal nulla. Si sforzo' di acuire la vista, costringendosi a tenere aperti gli occhi nonostante la pioggia, cercando la risposta a quel nuovo quesito.
Lo sforzo cui stava sottoponendo i suoi occhi stanchi le valse, infine, un altro brandello di conoscenza: in alto, proprio sopra la di lei, ampi margini di roccia frastagliata incorniciavano il cielo. Per un breve attimo ancora, la presenza di quel nuovo elemento parve stordire la sua mente affaticata, poi, ancora una volta, un nuovo pensiero si fece strada tra le nebbie che gia' minacciavano di tornare ad invadere la sua coscienza: si trovava in una caverna.
Fece appena in tempo ad affermare quel ultimo pensiero, prima di perdere nuovamente i sensi.

giovedì 24 aprile 2008

Nive (III)

   Lentamente, molto più lentamente di quanto avrebbe voluto, divenne pienamente cosciente del mondo attorno a lei.
   Le informazioni raccolte dai suoi sensi si insinuavano lenti attraverso la cortina di nebbia che ancora avvolgeva i suoi pensieri. Sebbene le riuscisse ormai sempre più facile pensare, il dolore incessante che le attraversava il corpo le impediva di concentrarsi davvero sul mondo che la circondava.
   Passarono lunghi minuti, lenti come intere ere, prima che l'immagine esatta della sua condizione potesse cominciare a fissarsi nella sua mente.
    Aprire gli occhi le costava un'enorme fatica, soprattutto per la pioggia torrenziale che le batteva il viso accecandola. Scoprì presto che ogni movimento le era impossibile: i suoi muscoli parevano di pietra ed una vaga sensazione di gelido metallo le veniva dagli arti intorpiditi suggerendo alla sua mente la presenza di ceppi e catene. Provò a muovere la testa, ma di nuovo quel tocco gelido le svelò un nuovo vincolo. Chiunque l'avesse condotta lì, aveva fatto in modo che non potesse muoversi.

venerdì 18 aprile 2008

Nive (II)

"[...]
  Dolore.
Un lampo improvviso illuminò la sua mente scacciandone un altro brandello di nebbia. Violente pulsazioni percorrevano i suoi nervi premendo ai margini della sua coscienza.
Il corpo le doleva ovunque. Capì, in un primo sforzo di pensiero coerente, che il dolore era dovuto, almeno in parte, al continuo e pesante batterle addosso della pioggia, che ormai doveva andare avanti da ore, acuito dal gelo e dal vento che le sottraevano ogni calore e forza.
  Nei pochi istanti in cui si successero quelle sensazioni, la sua mente riprese finalmente forma ed in lei si accese, poco alla volta, qualcosa di molto simile ad una certezza: era viva!
  Se non fosse stato così, allora tutto quanto aveva privato, o le era parso di provare, fino a quel momento sarebbe stato solo una serie si illusioni. Poi si rese conto che anche per potersi illudere doveva essere viva, ed allora riprese ad avere una vera coscienza di .
[...]"

giovedì 10 aprile 2008

Nive (I)

" Vento,
Un vento gelido che le mordeva le carni. Fu quella la sensazione che, per prima, aggredi' i suoi sensi annebbiati non appena fu tornata cosciente del mondo. Vento e poi pioggia. Tanta pioggia. Gocce pesanti e fitte che la colpivano ovunque, acuendo il gelido tocco del vento.
Lentamente, in un tempo che le parve infinito, la nebbia che avvolgeva i suoi pensieri inizio' a diradarsi, e le sensazioni vaghe e confuse che già avevano cominciato a blandire i margini più esterni della sua coscienza divennero via via sempre più chiare e distinte.
Freddo.
Una gelida morsa la avvolgeva completamente. Aveva già sentito la pioggia percuoterle il corpo ed il vento sottrarle ogni più intima traccia di calore, ma soltanto ora si rendeva veramente conto del gelido abbraccio che le intorpidiva le membra. Era qualcosa di più della semplice sensazione dovuta all'acqua scrosciante ed al vento impietoso, era come se il suo intero corpo si stesse trasformando in ghiaccio.
[...]"

venerdì 14 dicembre 2007

Interludio

A lungo ho mancato ai miei doveri di ospite. Lunghe e pesanti sono le giornate della mia vita ed e' sempre piu' difficile trovare il tempo per raccontare le mie storie. Mi dispiace di questo e spero di riuscire al piu' presto a scriverne di nuove. Per il momento vi lascio un saluto ed un augurio di pace.

lunedì 28 maggio 2007

Naufragio...

Ben tornati miei graditi Ospiti.
La storia che mi accingo a narrarvi non proviene dal mio mondo, Nioril, ma come le altre che ascolterete, l'ho imparata dal vento che nel suo eterno viaggiare ha attraversati tutti i mondi nati dal Tempo...

" Una nube lontana si avvicinava silente. Lo avrebbe sorpreso disperso nel mare dei suoi pensieri. Naufrago solo e stanco di vagare per quell'infinito oceano senza onde. La vita.
Le forze gli scivolavano di dosso come pesanti gocce di pioggia trascinando nel loro esasperante moto le lacrime amare dei suoi anni più dolci.
Un lampo segnalò l'inizio della tempesta. La pioggia gelida quasi gli riscaldò il cuore ma troppo a lundo era andato alla deriva per desiderare ancora di essere salvato. Le gocce scrosicanti lavarono dal suo viso angosciato le ultime tracce di vita.
La penna tra le sue dita si mosse rapida e la scrittura incerta di un'anima stanca macchiò il foglio candido del nero inchiostro della sua angoscia. Poche parole. Un ultimo saluto al mondo da un naufrago triste disperso in questa nostra vita insulsa:
"Parto. Fuggo via da questo triste oceano
di voci e sussurri e rumori. Parto.
Nessuna lacrima. Nessuna parola.
Parto per non partire mai più.
E finalmente ho trovato la pace."
Un tuono scosse il tacito scrosciare della notte. Il silenzio interrotto riprese il suo regno e la pioggia soltanto gli fu compagna.
Nessun naufrago vagava più stanco per il triste oceano della vita. Un foro decorava come un macabro disegno la tempia muta d'un corpo privo di anima.
L'ultima goccia gli era scivolata addosso mentre un tuono crudele gli negava anche l'ultimo urlo di vita. Uno sparo coperto dal sordo rombo del mondo.
Nato nel clamore d'uno stupore muto. Morto nel silenzio d'un urlo.
Nel mezzo un mesto naufragare nel nulla."
Celendor.

mercoledì 9 maggio 2007

Tramonti...(VIII) Epilogo.

Sciolto fu in fine l'incanto ed il velo che tanto a lungo aveva celato alla bella Aranel l'amore ed il Mondo cadeva con esso, stracciato e perso come il manto scuro del suo antico Signore, che giaceva ora a terra e vuoto, unico resto della potenza che aveva un tempo governato sul Neunen b'Dhar.

Ricordi e domande le affollavano mente e cuore ma ancora più vivo era il ritrovato calore della vita che tornava a scacciare le ultime nebbie del suo passato Signore.
Sentì chiamare il suo nome ora, Aranel, e riconobbe in quella voce deforme l'amore. 
Il sole splendeva e lontano le giungeva il rumore e l'odore del mare.
Nethein chiamò, possibile che fosse davvero lui? Si chiese. E la voce rispose, e la chiamò ancora e ancora in un concitato succedersi di urla e singhiozzi.

Gli amanti dispersi si ritrovarono infine e insieme tornarono ai campi verdi dove a lungo vissero prima fino a ricevere il dono degli uomini."

Questa è la prima delle molte storie che il vento racconta agli alberi nella lingua del Mondo, altre ancora alle mie orecchie ne sono
giunte e spero giungano presto anche ai vostri cuori.

Celendor Neshta'ri